mercoledì 30 novembre 2016

Fallacia ad hominem

Quando due persone dibattono, possono fare ricorso a tutta una serie di espedienti retorici per convincere chi assiste della bontà delle proprie ragioni. Non sempre, però, questi espedienti sono logicamente corretti, in quanto contengono un errore concettuale: il loro denominatore comune è quello di non affrontare il merito della questione, ma di accattivarsi la ragione su un altro terreno di scontro.
Uno dei più classici è la delegittimazione, detto anche argumentum ad hominem, attraverso il quale si scredita una tesi attaccando non la sua verità, bensì la persona che la pronuncia.
Sappiamo bene che il sole sorge ad Est (ed ogni giorno, come ci ha ricordato l'Abbronzato), ma se per assurdo volessimo contestare tale affermazione ci troveremmo privi di argomenti validi, per cui dovremmo ricorrere a una delle fallacie del discorso logico: ad esempio, sostenendo che chi ha detto che il sole sorge ad Est è un imbecille e quindi dice solo fesserie. Proprio nel caso specifico, è ben evidente il limite intrinseco di questo modo di argomentare, che non solo manca di cogliere il nucleo della questione, ma degrada e mortifica il livello del dibattito.
Ovviamente, di tale argomento si fa pieno uso nella vita quotidiana, visto che è molto più facile insultare una persona o quantomeno screditarla che non ribattere a quanto sostenuto. In linea generale, dunque, bisognerebbe evitare di attaccare chi ragiona, per concentrare le nostre attenzioni sul ragionamento.
Anche un fesso, in fin dei conti, per la legge dei grandi numeri, prima o poi dirà qualcosa di giusto.
In che misura tutto questo c'entra col referendum di domenica e con la mia decisione?
C'entra, c'entra.

martedì 29 novembre 2016

Requiem per la sinistra

Avevo in mente questo pensierino già da diversi giorni, poi s'è messa di mezzo pure la morte di Fidel Castro. Seppur alla lontana, è l'inizio di quanto avevo annunciato e, in un primo momento, disatteso.
A partire dalla disgregazione dell'Unione Sovietica e, di conseguenza, dal superamento delle ideologie totalitarie del Novecento sul suolo europeo, lo scenario politico è mutato. L'evoluzione della tecnologia e dei mezzi di comunicazione ha subito, negli ultimi venticinque anni, un'impennata brusca e mai registrata prima; contemporaneamente, i partiti hanno effettuato una sorta di traslazione sul piano orizzontale, senza combaciare più con gli accoppiamenti che esistevano durante la guerra fredda: mi riferisco alla loro offerta politica e ai loro interlocutori, il loro elettorato di riferimento.
Per semplicità, si può rappresentare lo scontro politico come una mischia del rugby, dove i giocatori delle due squadre spingono, tutti insieme, per far indietreggiare l'avversario e guadagnare terreno verso la linea di meta. Il capolavoro si raggiunge quando si riesce a far spostare la mischia avversaria su un lato, liberando campo aperto alle sue spalle. Questo è più o meno quello che è accaduto alla sinistra a livello europeo: dopo decenni di dura lotta, ha iniziato ad accusare qualche acciacco. Forse stanca per le troppe mazzate prese, forse non più desiderosa della prima linea, ha messo meno energia nei contrasti, nella mischia, volgendo la propria attenzione verso altri soggetti: i partiti che erano il punto di riferimento delle masse di lavoratori hanno cominciato a fare gli occhi dolci a chi una volta era, in qualche modo, il nemico. Banche, istituzioni, fondi d'investimento, fondazioni, questi sono diventati i nuovi interlocutori della sinistra dopo la caduta del Muro. Proprio come nel rugby, non si sono accorti che alle loro spalle non c'era nessuno a difendere il campo, così altri partiti si sono infilati in quello spazio e lo hanno fatto loro. Non si chiamano più partiti di massa, ora vengono definiti populisti, ma nella sostanza poco è cambiato.
Una volta morto il comunismo, si può dire altrettanto delle esigenze che avevano portato alla sua nascita? Seppur superata l'età delle ideologie, è lecito affermare con sicumera che queste non troverebbero più spazio nella società contemporanea? Il superamento di determinati modelli è dato innanzitutto dal mancato raggiungimento degli obiettivi che questi si erano prefissati, però non sono venuti meno i loro presupposti, tanto che è bastato modificare l'approccio per giungere alla loro evoluzione, benché sotto mutate spoglie.

lunedì 28 novembre 2016

Lindor

Avevo effettivamente promesso di iniziare a spiegare il complesso percorso che mi ha condotto a prendere una decisione su cosa votare al famoso referendum che si terrà il prossimo 4 dicembre.
Ciò non sarebbe però possibile senza una doverosa premessa, che voglio dedicare al motore immobile del mio universo: i Lindor della Lindt. Azzerano qualsiasi capacità di resistenza, annichiliscono ogni difesa, sono più letali di Ronaldinho, Eto'o e Messi. Vincono sempre loro. Risulta importante, tuttavia, ricordare che i Lindor ci pongono spesso di fronte ad un annoso problema, che neppure numerose commissioni di inchiesta parlamentare sono mai riuscite a risolvere fino in fondo: come si mangiano i Lindor? Vanno lasciati sciogliere in bocca, affinché la copertura si squagli dolcemente sul nostro palato e lasci poi spazio all'incommensurabile gioia del ripieno, oppure bisogna addentarli e giungere subito alla sua parte più nobile?
La soluzione adottata ricorda molto quella che prese Alessandro Magno dinanzi al celebre Nodo di Gordio: se ne mangiano due, in uno modo e uno nell'altro.

domenica 27 novembre 2016

Marketing puro

Non è affatto vero che io non sappia cosa votare al referendum, la decisione l'ho presa da un po' di tempo. Spiattellarla subito, però, offrirebbe il fianco alla stessa critica che fece Hegel all'infinito di Schelling: la notte in cui tutte le vacche sono nere, ossia dove non si capisce una mazza, e vi giungerei allo stesso modo, cioè con un colpo di pistola, senza mostrare il ragionamento che vi è dietro. Magari non per forza ragionamento, ma per lo meno il percorso.
Oltretutto, se andassi dritto alla conclusione, la gente finirebbe col concentrarsi sull'esito finale e nel tentativo di ricondurlo a posizioni già delineate da altre persone. Posso invece andar fiero di votare su motivazioni esclusivamente mie, personali, che nulla hanno a che vedere con gli schieramenti in campo. O meglio, ci sono dei legami, ma non ho scelto uno dei due ritenendo migliori le loro motivazioni.
Il punto di partenza è un post che pubblicherò domani perché, si sa, il lunedì attira consensi e visualizzazioni. La domenica sera di fine novembre richiama invece copertina e serie tv, meglio non frapporsi.
Anche il pensierino si piega al marketing.

venerdì 25 novembre 2016

Nomi vecchi

Bisogna evitare di fare esempi, ché in un attimo la gente potrebbe risentirsi. Tuttavia, è innegabile che esistano alcuni nomi che sui bambini stonano. Sanno già di vecchio. Nel momento in cui si chiama un infante con quel nome, maschio o femmina che sia, viene automatico pensare che ci si stia rivolgendo a un adulto, o perlomeno a una persona che abbia già una trentina d'anni. Sul fatto che a trent'anni si possa non essere ancora adulti mi riservo di ritornare in separata sede.
Appartengo a quella categoria di bambini che hanno rischiato, almeno secondo gli aneddoti genitoriali, di ritrovarsi con un nome impresentabile; talmente grottesco che mi rifiuto persino di dirlo, ma sono abbastanza sicuro che mi avrebbe causato molte più prese in giro di quelle comunque ricevute durante la mia infanzia. Per questo motivo, sono piuttosto sensibile sul tema: perché affibbiare alla propria innocente creatura un nome che sa già di stantio, di vecchio, di vetusto, di stanco, di affaticato, che porta con sé le occhiaie, acciacchi, che implica  esperienza, conoscenza del mondo, magari anche autorevolezza, tutte caratteristiche che non si possono certo ritrovare in un bambino.
Per contro, si potrebbe obiettare, se uno scegliesse solo i nomi che stanno bene sugli infanti, la rosa dei nomi s'impoverirebbe notevolmente, senza contare che poi magari questi nomi finiscono per stonare una volta adulti. Forse sì.
Ma resto dell'idea che sia meglio preservare l'infanzia.
Date un nome giovane e fresco a chi viene al mondo.

giovedì 24 novembre 2016

Coscienza critica

Per quanto uno possa cercare, non troverà mai un più grande rompicoglioni dell'elettore di sinistra italiano. Quando dico sinistra intendo quella che è esistita fino agli anni Novanta del secolo scorso, l'unica che potesse definirsi in qualche modo erede del PCI. Non è una coincidenza che abbiano sempre patito enormemente le crisi di governo, perché non appartiene alla loro cultura né il concetto di voto utile né quello di voto di appartenenza, per il quale si segue compatti lo schieramento.
United we stand, divided we fall.
Devono avere fatto un po' di confusione al riguardo.
Nonostante tutti i limiti e i problemi che questa eccessiva libertà di pensiero comporti, il principio tacito non è mai stato messo in discussione, contrariamente a quanto è accaduto con i rivali storici, che si sono sempre presentati compatti come una corazzata, pronti a difendere la loro posizione anche una volta esaurite le munizioni, ossia le argomentazioni, ma persino in totale assenza di queste.
Senza che ciò comporti in qualche maniera un'adesione alle proposte politiche della sinistra, ho sempre trovato preferibile questo modello; in molti lo criticano definendolo perdente, e la storia dà loro ragione. L'alternativa, però, m'inquieta: ricordo com'era il centrodestra di un tempo e lo rivedo nei grillini di oggi, con la medesima sensazione di turbamento di fondo. Ribadisco, non per le singole posizioni espresse, quanto per la totale e acritica adesione.
Sarà che sono stato influenzato dalla lettura di 1984 quando avevo quattordici-quindici anni, per cui tutta la mia vita sarà dedicata ad evitare che si finisca in un sistema del tipo delineato nel libro, però il pensiero unico mi ha sempre fatto paura, per un motivo molto semplice: proviene da una persona sola, cui gli altri in qualche maniera concedono l'esclusiva. Questa persona detta la linea e tutti gli altri dietro, senza che vi sia un minimo di coscienza o volontà nell'adesione. All'inizio può ancora andar bene, perché si comincia col propugnare tesi piuttosto morbide, il problema è che dopo, di solito, si passa a stronzate galattiche e spesso pericolose.

mercoledì 23 novembre 2016

Alex l'ariete

Non esiste, nel mondo, un vero e proprio concetto di giustizia. Nemmeno di meritocrazia.
Diversamente, come sarebbe possibile vedere ancora in giro Alberto Tomba e Michelle Hunziker, dopo che hanno fatto Alex l'ariete?
Guardare per credere

martedì 22 novembre 2016

Votare con riserva

Potrebbero seguire altri post di questo genere, di qui al 4 dicembre prossimo venturo. So che in questo modo trasgredisco la fondamentale regola del pensierino di evitare l'attualità, però è una circostanza speciale che merita di essere trattata come tale. Non tanto per l'importanza della questione, che magari si sta persino sopravvalutando, quanto piuttosto per la lacerazione interna che mi sta creando. Oltretutto, se ne parlerà ancora per molte lune, per cui il requisito dell'attualità circonderà quest'argomento di qui all'anno venturo come minimo.
Sono tormentato, dicevo.
C'è un quesito referendario sul quale gli aventi diritto al voto sono chiamati ad esprimersi, senza che sia però necessario il raggiungimento del quorum ai fini della validità del risultato. Anche se c'andasse una sola persona, sarebbe sufficiente.
Il quesito di cui sopra verte sulla conferma di una modifica della costituzione, già approvata dal parlamento, e che richiede però la legittimazione popolare come ultimo passaggio del proprio iter.
A differenza delle elezioni, in cui si può scegliere tra una schiera di candidati, nel referendum l'opzione è secca: sì o no. No o sì. In questo caso non si può neanche provare a fare gli indiani e nascondersi dietro qualche scusa per non andare a votare con la speranza che non si raggiunga il quorum, poiché, come già detto, non è necessario.
Finisce il tempo degli alibi, il cittadino è messo di fronte alla propria coscienza, che lo fissa e gli fa i suconi da lontano, come allo stadio quando vedi il settore ospiti (o la curva di casa, dipende dalla prospettiva) che ti ricopre di contumelie.
Il sogno dell'ingenuo elettore è di poter analizzare il quesito referendario e votare secondo la propria coscienza, in base a una valutazione di merito. Tutto ciò, se è normalmente poco probabile, assume in questo caso i contorni e le sfumature della totale impossibilità, giacché all'esito del voto popolare sono legati delicati equilibri politici, che aprono due diversi fronti della battaglia: uno è appunto quello sulla riforma proposta, l'altro è invece vincolato alle conseguenze che questo potrebbe avere. Ciò non significa che uno dei due aspetti debba prevalere sull'altro, ma che di sicuro non ci si potrà recare alle urne con la spensieratezza di chi si limita a valutare una modifica legislativa, per quanto di rilievo questa possa essere.
A questo punto, una completa ed accurata guida dovrebbe offrire all'elettore uno spazio riservato alla risoluzione di conflitti interni, dal titolo: come comportarsi se si vorrebbe votare una cosa ma se ne temono gli effetti. Purtroppo, tale guida non esiste, né mi offro di scriverla io, perché non ne avrei le competenze. Rilevo, in ogni caso, come a questi elettori non sia fornito lo strumento per esprimere a pieno la propria volontà; mi chiedo, pertanto, se sia possibile un simpatico voto con riserva. Ossia, si fa una scelta precisa, cui segue un gigantesco "ma", che serve a prendere posizione e smarcarsi dallo schieramento che ci si trova costretti, giocoforza, ad appoggiare.
Sul tema tornerò, questo è solo l'antipasto.

lunedì 21 novembre 2016

Parole mancanti

In italiano mancano alcune parole che sintetizzino concetti complessi. La più immediata a cui viene da pensare è quella che esprima "una persona di sesso opposto che, vista di schiena o da lontano, appare molto attraente da un punto di vista squisitamente fisico ma che, una volta girata od avvicinatasi, si rivela non conforme alle aspettative". Mentre versavo il the, però, me n'è venuta in mente un'altra e ho pensato che sarebbe stato opportuno darne notizia alla mia nutrita schiera di lettori; tuttavia, nel tempo intercorso tra il pensiero e l'azione, questo concetto è evaporato, lasciando spazio a una valle di lagrime e rimpianti.
Per fortuna, anziché iniziare a rompere tutti i suppellettili a portata di mano, ho realizzato che il destino me ne aveva appena fornita un'altra: manca infatti la parola che descriva la fastidiosa sensazione di vuoto mentale che si prova quando non si riesce a ricordare qualcosa che si aveva ben chiaro in mente pochi istanti prima.

sabato 19 novembre 2016

Regole immanenti

Il mondo è governato da un numero infinito di leggi che noi osserviamo nell'agire quotidiano senza neanche rendercene conto;  alcune solo le leggi poste dall'uomo, che ha deciso di regolare la vita tra i consociati attraverso dei precetti, altre invece sono leggi di natura scientifica, attinenti la natura e la realtà delle cose che ci circondano. All'interno di quest'ultimo gruppo vi sono leggi che ci hanno insegnato e altre che, invece, abbiamo potuto apprendere da soli, poiché le abbiamo conosciute attraverso la nostra esperienza e senza le mediazione di un'altra persona. Così, per esempio, a nessuno verrebbe in mente di infilare una mano in una pentola d'acqua bollente, perché sa che si ustionerebbe.
In una posizione intermedia si colloca una particolare legge d'esperienza, che per qualche arcano ed oscuro motivo non tutti colgono immediatamente, rendendo pertanto necessario l'intervento didascalico di terzi. Mi riferisco, come ormai avrete ben compreso, all'antico adagio per cui il culetto del pan bauletto si mangia per ultimo. Da quando l'azienda che lo produce ha deciso di mettere, all'inizio e alla fine, due fette che in qualche maniera chiudessero le altre ed evitassero che la prima risultasse sempre fastidiosamente indurita, l'uomo ne ha subito tratto la massima d'esperienza di cui sopra; appare imperscrutabile la ragione per la quale questa norma non sia stata immediatamente recepita dalla totalità dei consociati, ma a quanto pare vi sono ancora persone che se la sbafano per prima, facendo sì che la nuova prima fetta risulti una di quelle con la mollica esposta e possa diventare gnecca col passare del tempo.
In un momento così delicato per l'equilibrio mondiale, è più che mai il caso di riportare la legalità all'interno delle nostre case, rendendoci combattenti per la giustizia divina sin dai piccoli gesti del quotidiano. Salvaguardiamo il culetto del pan bauletto.

giovedì 3 novembre 2016

Amic*

Attorno ai concetti di giusto e sbagliato ruota più o meno l'intera costruzione sociale dell'umanità. Ultimamente, l'impalcatura è sorretta da una sorta di degenerazione, che definirei la correttezza a tutti i costi: non solo bisogna essere sempre equidistanti e moderati, ma dobbiamo pure farlo in maniera esagerata. L'ultima, meravigliosa creazione è quella dell'asterisco alla fine dei nomi o degli aggettivi per indicare che ci si rivolge a una pluralità di persone indipendentemente dal loro sesso. Fino a poco fa si poteva tranquillamente usare il maschile o il femminile (tutti i presenti oppure tutte le persone) per indicare un insieme di soggetti, adesso invece si scrive tutt*. Cosa dovrebbe rappresentarmi questa cagata? Esistono davvero delle donne che si sentono offese se ci si rivolge a tutti e non a tutti/e, o meglio ancora a tutt*? A queste persone, ammesso e non concesso che esistano, è mai balenato per l'anticamera del cervello che per superare certe differenze, anziché accentuarle, sarebbe meglio non metterle in risalto, appiccicando in taluni casi l'etichetta di specie protetta?
Oltretutto, vien subito da pensare a come ovviare al problema nel parlato. Nello scritto è evidentemente più facile, però occorrerà poi adattare questo mutato lessico anche al dialogo. Che faremo allora? Ci limiteremo ad elidere la lettera finale, che potrebbe, non sia mai, essere indicativa del sesso delle persone cui ci si riferisce? E quando cambia non solo l'ultima lettera, ma proprio la desinenza, tipo dottori e dottoresse, oppure lavoratori e lavoratrici? Non sarà più sufficiente coniare un nuovo suono che sia la crasi di e ed i.
Non vedo l'ora di sentire per strada frasi come "Ringraziamo tutt quell che sono qui present per affermare quanto siano orgoglios di essere..."