martedì 28 ottobre 2014

pensierino del giorno-27/10/2014

qui ho introdotto un libro letto di recente e che mi ha spinto a delle riflessioni, più o meno profonde.
ne ho anticipata una, ora ecco l'altra dove esprimo a pieno il mio animo da complottista.
calabresi dipinge un quadro con schemi precisi e ruoli ben determinati: da una parte i buoni, o perlomeno gli innocenti, dall'altra i carnefici. pur comprendendo le sue motivazioni, e penso che al suo posto farei fatica a pensarla diversamente, sono più propenso a credere che i veri carnefici siano altri. i carnefici son quelli che hanno deciso a tavolino la strategia della tensione e che l'hanno messa in atto, coprendo i veri responsabili di attacchi assurdi al paese come quello di piazza fontana o piazzale della loggia a brescia depistando le indagini verso chi faceva loro più comodo, in modo da portare l'opinione pubblica a schierarsi. buoni o cattivi, bianchi o rossi.
anche se meno rumorosa, la parte che ha scelto il bianco è stata senza dubbio prevalente e tuttora lo è.
però nell'analisi di calabresi manca totalmente questo elemento, cioè ragiona come se i suoi carnefici avessero agito di loro spontanea iniziativa, senza pressioni o manipolazioni dall'esterno. in parte è vero, perchè nessuno li ha obbligati, ma dall'altra non si può far finta di niente e tacere il fatto che un tale clima di odio e violenza sia stata ideato a uso e consumo della classe politica dirigente di allora. da una parte e dall'altra sono stati trascinati in un gorgo di annichilimento reciproco che ha causato soltanto un rafforzamento di chi guardava strofinandosi le mani.
divide et impera.
sarebbe secondo me sbagliato affermare che le vittime di quegli anni siano state uccise soltanto da chi materialmente ha commesso l'omicidio, perchè la loro morte in quanto esseri umani sacrificabili era stata preventivata e anzi auspicata ben prima che accadesse.

domenica 26 ottobre 2014

pensierino del giorno-26/10/2014

raramente parlo di me, ancor meno della mia famiglia, ma ogni regola deve sopportare le sue eccezioni.
in un'insensata domenica sera sono al cazzeggio su internet e m'imbatto in un video. è la sigla di una trasmissione tv che parla del pisa, il pisa squadra di calcio. la sigla è quella di quest'anno e decido di perdere tre minuti della mia vita a vederla perchè mettono sempre spezzoni di tifo con in sottofondo la storia siamo noi di de gregori.
dopo pochi secondi vengo preso e scaraventato nel passato: sullo schermo compare la punizione di gerry cavallo in pisa forlì 5-0, stagione 1996/1997, per la precisione primavera del '97.
fu la prima partita che mio nonno mi portò a vedere allo stadio e ovviamente mi portò all'arena, dove lui aveva trascorso la maggior parte della sua vita da tifoso. ho dei ricordi nitidissimi, lui che la definisce una "punizione frizzante", la goleada del pisa che ne seguì, e soprattutto sempre lui che mi prende sotto braccio e mi incita a seguire il "chi non salta è un livornese e la maiala di su ma'".
non mi era mai capitato di rivedere i gol di quella partita nè li avevo mai cercati, però a quasi quindici anni dalla sua morte ho risentito nonno accanto a me che mi prende sottobraccio e ho paura ad andare avanti nel video, perchè poi quelle immagini spariranno per lasciar spazio ad altre più recenti, e con esse sparirà nonno, di nuovo.

martedì 21 ottobre 2014

pensierino del giorno-22/10/2014

quando si pensa alla disoccupazione in italia occorrerebbe far riferimento a situazioni concrete. tipo le persone che vanno a vedere i processi al mattino. gente che non ha un cazzo di niente da fare, perchè come diamine ti può venire in mente di andare nell'aula di un tribunale mentre dovresti lavorare? o ti han pagato per far leva sulla giuria, oppure sei un debosciato.
in entrambi i casi, via il diritto di voto e non ci si sbaglia.

pensierino del giorno-21/10/2014

la riflessione dell'altro giorno mi è venuta dopo aver letto "spingendo la notte più in là", scritto da mario calabresi. è la storia, raccontata per aneddoti e associazioni di idee, del rapporto triangolare tra la sua famiglia, la figura del padre scomparso e il resto del mondo, all'interno del quale si ricomprendono familiari di altre vittime del terrorismo, le istituzioni, i terroristi stessi.
già, perchè dovete sapere che mario calabresi è figlio di luigi calabresi, poliziotto assassinato sotto casa sua una mattina del millenovecentosettantadue.
prima puntata, ovvero del perchè sia morto calabresi.
questa storia non si può raccontare se non partendo da fatti più lontani nel tempo, precisamente nel dicembre del millenovecentosessantanove, quando inizia ufficialmente in italia la strategia della tensione. un bel giorno, a milano, esplode una bomba all'interno della banca dell'agricoltura sita in piazza fontana causando numerosi morti. l'attentato è da ricondurre all'operato del terrorismo nero, ma le indagini furono da subito sviate verso una pista più rossa, o meglio rossonera: quella degli anarchici.
giuseppe pinelli, ferroviere e anarchico, fu tra i sospettati e per questo portato nella caserma di polizia dove era commissario proprio calabresi. lì rimase per tre giorni di interrogatori sfibranti, senza aver riposo nè cibo. durante la notte del terzo giorno, precipita dalla finestra della stanza del commissario. morirà in ospedale.
su questa morte non è mai stata fatta luce piena, nel senso che non si è mai giunti ad avere la certezza totale sul motivo per il quale pinelli cadde da quella finestra (ho visto anarchici distratti cadere giù dalle finestre, cantavano i modena). il giudice istruttore, ruolo che ora non esiste più, incaricato di far luce sulla tragedia la iscrisse come omicidio volontario, dato che nella stanza erano presenti diversi agenti di polizia e sul momento gran parte dell'opinione pubblica rifiutava anche solo di pensare alla fatalità. tale giudice, come riporta calabresi nel suo libro, è giunto a smentire ogni possibilità di omicidio, prosciogliendo quindi tutti gli indagati, ivi compreso il commissario, che si dimostrò non trovarsi neppure nella stanza al momento del fattaccio.
contro di lui si scatenò una fortissima campagna mediatica e fu per questo motivo che una mattina venne freddato sotto casa mentre prendeva la macchina per andare a lavorare. lo slogan in quegli anni era calabresi assassino, ma se vogliamo credere al giudice istruttore era completamente privo di fondamento.
personalmente voglio credergli, davvero. sono dell'idea che non sia stato calabresi a uccidere pinelli.
però credo che sia stato calabresi a causarne la morte.
nel film che han fatto sulla sua vita, e anche il figlio non manca di segnalarlo nel libro, si narra che i due si conoscessero e ci fosse un rapporto di stima reciproca. si dice inoltre che fosse stato proprio il commissario uno dei primi a essere poco convinti della pista anarchica, gli pareva che non portasse da alcuna parte, che non fosse quella giusta.
allora la domanda è d'obbligo: che cosa ci faceva pinelli in caserma da tre giorni? nulla, o meglio, non avrebbe dovuto farci nulla perchè il fermo poteva durare al massimo due giorni, ma al momento della morte eran già trascorse settantadue ore. doveva essere portato in prigione o rilasciato. invece no, in barba alla legge si trova ancora lì, in condizioni psico-fisiche chiaramente deficitarie, sulle quali non è stato avanzato alcun dubbio.
io non voglio mettere in discussione la soluzione avanzata dal giudice istruttore, cioè quella di un malore, cui peraltro si è giunti solo scartando tutte le altre, anzi voglio crederci. ed è per questo che il commissario deve esserne responsabile. non per forza per il diritto, poichè la dottrina penalistica ha da tempo superato l'idea del regresso all'infinito, ma per gli uomini sì. e lasciamo per una volta anche stare le menzogne tirate fuori sul caso dalla polizia, reati per i quali nessuno è mai stato indagato. si tratterebbe di abuso d'ufficio per il diritto, reato a mio avviso particolarmente grave e infamante, ma di sicuro imparagonabile all'omicidio.
fu calabresi a condurre l'interrogatorio di pinelli, nel quale il suo alibi venne creduto falso anche se in seguito si scoprì che falso non era. fu lui che non lo rimandò a casa quando era provatissimo dal poco sonno e pressoché a digiuno. voglio credere al malore, ma tale malore è stato causato dalle condizioni nelle quali è stato tenuto per quei tre giorni.
e davvero non deve nè può esistere un responsabile per tutto questo? no, io a questo non credo. calabresi aveva il dovere di mandarlo a casa e non l'ha fatto. in seguito a questa negligenza, per una tragica sfortuna, pinelli è morto. davanti a quello che potremmo definire un tribunale morale non potrebbe che essere condannato. pinelli è morto per una situazione di illegalità per la quale nessuno ha pagato, né chi l'ha posta in essere, né chi doveva vigilare affinché non fosse posta in essere. sono abbastanza sicuro che calabresi non volesse causarne la morte, ma indirettamente lo ha fatto col suo comportamento negligente.
 

lunedì 20 ottobre 2014

pensierino del giorno-19/10/2014

gli anni di piombo sono un periodo che mi ha sempre affascinato, probabilmente per il fatto che ho dovuto scoprirlo interamente da solo, senza che a scuola venissero mai fatti cenni di alcun genere, eppure è indispensabile per provare a comprendere l'italia di oggi.
dei tanti risvolti che hanno avuto ce n'è uno che recentemente mi è balzato agli occhi: l'età dei personaggi coinvolti. non mi riferisco ai politici, bensì a chi era in strada. ragazzi che ammazzavano altri ragazzi, gente di venti, ventuno, ventidue anni che brandiva una pistola e sparava a chi aveva di fronte. i defunti quasi sempre lasciavano mogli coetanee con figli o comunque gravide.
la nostra generazione è cresciuta dopo. alla loro età erano uomini e donne che scrivevano, nel bene o nel male, pagine di storia. tanti di noi invece attendono di aprirsi al mondo una volta ottenuta una laurea.
fare azioni di una tale portata significa, per forza, prendere delle decisioni. mi domando quand'è l'ultima volta che abbiamo deciso qualcosa di così importante o se l'abbiamo mai fatto e se mai lo faremo.

lunedì 13 ottobre 2014

pensierino del giorno-13/10/2014

ogni comunità ha bisogno del proprio jefe.
el jefe.
in spagnolo significa il capo.
uso, contrariamente alle mie abitudini, un termine non italiano perchè deve aiuta a rendere meglio la spontanea devozione e sottomissione degli appartenenti alla comunità nei suoi confronti. la parola capo ci evoca imposizione, fastidi, potere. niente di tutto questo. el jefe diventa tale per acclamazione, a furor di popolo viene eletto guida morale e spirituale, financo etica.
el jefe deve dunque spiccare per le sue qualità morali e il campo di battaglia nel quale si misura è la figa.
sul punto, bisogna riconoscerlo, non vi è ancora unanimità di vedute. una prima impostazione, più smaccatamente marxista, individua nel jefe colui che dà del tu alla figa; altra parte della dottrina, di chiara ideologia niciana o come cazzo si scrive, alla perenne ricerca dell'oltreuomo, ritiene invece che el jefe sia colui al quale la figa dà del voi. un ribaltamento di prospettiva quasi kuhniano, se non fosse che le due impostazioni potrebbero incredibilmente convivere: nulla impedisce, infatti, che la figa ossequiosa omaggi col voi el jefe mentre lui dall'alto del suo ruolo possa darle del tu. purtroppo in letteratura non è ancora stata trovata traccia di tale sincresi, per cui bisogna lasciarla nel mondo del condizionale e dei periodi ipotetici, così ben espressi dall'an più ottativo.
per chi non avesse familiarità col greco antico, lasciate perdere. non il pensierino, proprio la vita in generale.
dicevo.
l'ottica niciana scorge pertanto nel jefe una figura quasi mitologica, più vicina all'eroe omerico che al moderno cittadino metropolitano ormai schiavo dei social network e più a suo agio a navigare in internet che sul mar egeo. el jefe, pertanto, è chi non conta neanche i punti perchè ha già vinto il campionato per distacco incolmabile in saecula saeculorum e può allora permettersi il calcio champagne.
a questa visione si contrappone recisamente chi lo individua come un prodotto del sottoproletariato urbano, vicino più al foggia di zeman che al barcellona di guardiola. la sua peculiarità, però, è proprio quella di giocare la competizione ad armi pari e, mosso dal sacro fuoco della rivoluzione, dominare il torneo grazie alla costanza, allo spirito di sacrifizio e all'abnegazione; el jefe assurge a tale non ex ante bensì ex post, quando emerge dalla selva di braccia e spade polverose al centro dell'arena e sferra il colpo letale alla feroce tigre che si è scagliata su di lui, per poi esplodere in un urlo belluino che tremare il mondo fa. el jefe, in questo, rappresenta il riscatto sociale degli emarginati, di chi vuole sradicare la società esistente per fondarne una giusta, equa e meritocratica. rifiuta quasi il titolo di jefe, arrossisce talvolta, perchè si vede uguale ai suoi compagni rifiutando di riconoscere la propria superiorità. è quindi il branco a doverla decretare con silenziosa e ossequiosa deferenza ogniqualvolta lo si vede troneggiare, splendente di fulgida gloria.
el jefe, una volta incoronato, non può perdere lo scettro se non per alto tradimento della figa. ma, essendo jefe, ciò non può accadere: sarebbe una contraddizione in termini e parmenide non lo permetterebbe mai.
onorate il vostro jefe, ovunque si trovi.