lunedì 15 giugno 2020

Lettera da

Ascoltare canzoni di un'altra tifoseria, emozionarsi perché quella canzone parla di te.
Lettera per lettera, persino i riferimenti geografici.
Per finire in struggente bellezza col sogno che torni in Europa, che venga a trovarti.
Scrivere qualche riga sul blog per sfogare la tensione, sperando che al termine dell'ennesimo ascolto si possa spegnere, far partire la lavapiatti e andare a letto perché anche basta vivere di ricordi

sabato 13 giugno 2020

Citarsi

Ho cercato per un po' le parole giuste sulla questione statue. Poi mi sono ricordato che, come spesso accade, qualcuno c'aveva pensato prima di me e con risultati decisamente migliori.
Sono ragionevolmente sicuro di aver già pubblicato qua sopra questo passaggio, ma evidentemente è opportuno rifarlo.
"Basta spostarci di latitudine e vediamo come i valori diventano disvalori e viceversa, non parliamo poi dello spostarci nel tempo. C'erano delle morali nel medioevo e nel rinascimento che oggi non sono più assolutamente riconosciute".
De Andrè, introduzione a La città vecchia, 1998. Concerto al teatro Brancaccio.
Direi che la questione è chiusa, potete cagarvi in mano e prendervi a schiaffi.

mercoledì 10 giugno 2020

Anniversari

Tra le novità introdotte negli ultimi anni dalle varie piattaforme di comunicazione, o meglio da chi le sfrutta, ce n'è una che aborro perché è il più bieco modo di acchiappare gradimento e notorietà: frantumar le palle con qualsiasi anniversario possibile e immaginabile. Non avendo nulla da dire sul presente - si noti infatti la clamorosa mancanza di riflessioni - queste pagine, di solito sportive, ricordano agli utenti che ESATTAMENTE otto anni fa accadeva un determinato evento. Al di là dell'ovvia obiezione per cui chi se ne frega, che senso ha festeggiare gli otto, i dodici, i ventuno anni e via dicendo? Capisco la cifra tonda: ogni dieci anni si rimembra quell'avvenimento, bene, comprensibile. In questo modo però non si fa altro che riproporre ciclicamente il medesimo contenuto e se osserviamo da una prospettiva ex post la situazione non fa che peggiorare perché ogni giorno posteranno il medesimo messaggio, limitandosi ad aggiornare la data. Che tristezza. Che squallore.
Siccome ho di nuovo un blog dal quale lanciare i miei temutissimi attacchi, posso finalmente togliermi di dosso tutti questi pensieri e affidarli all'etere che di sicuro li trasmetterà a chi di dovere. In particolare, queste pagine con un debole per gli anniversari sono nel mio mirino da tempo immemore e la soddisfazione di poter mettere per iscritto tutto quello che penso è doppia.
Occorre però ammettere che il giorno scelto non è casuale, trattandosi infatti di una data non qualsiasi.
Due anni fa chiudevo la pagina più lunga e duratura della mia vita, quella da torinese. Culminando con un matrimonio e un'improvvisata ai Murazzi vestito ancora da cerimonia, salivo ancora ubriaco su un aereo con destinazione Portogallo, dove avrei trascorso l'estate in attesa di trasferirmi in Olanda. Da lì non mi sono più voltato indietro, come avrebbe dovuto fare quel fesso di Orfeo, anziché cercare a tutti i costi di vedere Euridice. Peraltro il dieci giugno è sempre stata una data ben presente nella mia memoria, trattandosi del compleanno di mio nonno che un anno coincise con l'entrata dell'Italia nella seconda guerra mondiale. Lui compiva ventun anni quel giorno. Sarebbe dovuto andare al fronte ma non passò le visite mediche: troppo basso e insufficiente circonferenza toracica. Del primo limite son sicuro, del secondo meno ma è quello che ricordo mi disse al tempo, purtroppo ero bambino e la mia memoria potrebbe rivelarsi fallace. Sarei in realtà estremamente curioso di sapere se fosse davvero così, ossia se fosse quello l'esame cui erano sottoposti i cittadini prima di essere spediti al fronte. La certezza - e la fortuna - è che mio nonno al fronte non ci andò, anzi durante la guerra si sposò ed ebbe pure la prima figlia.

martedì 9 giugno 2020

Idoli

Dovrò scrivere di corsa ed è un peccato perché questo è un bello spunto di riflessione. Anzitutto una nota di colore: ormai facebook non fa più di moda, i gaggi stan su twitter. Ed è lì che ho letto un tizio lamentarsi dell'eccessivo nichilismo nei confronti di tutti i personaggi del passato, un senso ipercritico che porta a non ammirare più nessuno e quindi, a suo dire, a perdere anche dei punti di riferimento.
Debbo esprimere il mio disaccordo nei confronti di quell'utente. Pur apprezzando il suo punto di vista, trovo al contrario che sia indice di maturità non avere dei miti globali, totali. Del resto, mi auguro che ognuno di noi abbia contezza delle proprie contraddizioni e del fatto che sarebbe assurdo se qualcuno ci mettesse su un piedistallo o su un altare, volendo essere come noi in tutto e per tutto o facendosi assurgere a modelli di vita. Dato che siamo tutti uomini, è di tutta evidenza come questo ragionamento si possa facilmente applicare a chiunque. Vi è però un ulteriore questione di fondo che secondo me andrebbe chiarita: basta con questi soggetti che tracciano la via, al tempo stesso allenatori di calcio e filosofi, chitarristi e analisti politici, presentatori televisivi e discettatori di finanza pubblica. Beninteso, nessuno si sogna di vietare la libertà di espressione. Anzi, proprio perché è sacra finisce per rivelare i limiti di tutti noi e, di conseguenza, l'impossibilità di aspirare a qualsivoglia sorta di perfezione. Del resto, non si capisce perché mai un cantante dovrebbe anche esser colui che ci spiega come porci nei confronti della concorrenza fiscale praticata da certi Paesi a danno di altri all'interno dell'Unione Europea. Proprio qua dovrebbe giacere il discrimine: esistono personaggi che pretendono di dispensare sapienza e muovere masse sfruttando la propria popolarità, mentre altri aggiungono a questa delle considerazioni che sono in effetti intelligenti.
L'esempio più calzante viene probabilmente dalla pallacanestro americana: in seguito alla prima ondata di proteste per la questione razziale da parte degli atleti e il conseguente atteggiamento quasi denigratorio di certi giornalisti ("shut up and dribble", "stai zitto e palleggia"), sono emerse delle voci particolarmente autorevoli e portatrici di messaggi condivisibili o meno, ma comunque meritevoli di ascolto indipendentemente da chi li pronunciasse. Per converso, alcuni sono proprio scemi come la merda ed è palese l'imbarazzo anche dei loro amici quando viene in qualche modo chiesto conto di dichiarazioni valevoli ai fini dell'erogazione della 104.
Ben venga la commistione, il cantante non deve solo cantare, l'analista non deve solo analizzare e via discorrendo, purché non si rinunci ad analizzare la singola posizione sacrificandola sull'altare della pregressa popolarità.
Come va a finire? Sorpresa: più la gente parla più ci rendiamo conto che anche chi si è distinto in particolari campi e che - finché vi restava - ci pareva uno zeitgeist, si rivela in fondo fallace e umano come noi, al massimo con un'abilità in più che lo rende una penna piacevole, un volto che buca lo schermo o un atleta eccezionale.
Chiudo col più amaro dei ricordi. Ho posseduto una sola maglietta da calcio della mia squadra, quella del bomber della mia infanzia. Lo stesso che, durante la festa promozione, ancora pieno di spumante negli spogliatoi, pensò bene di chiedere un aumento in diretta tv. Prima cosa. Lui è ancora un eroe della mia infanzia? Sì. Gli voglio bene come a un padre? Sì. Penso che dovremmo pendere dalle sue labbra? Manco per il pene.

lunedì 8 giugno 2020

Cose che fanno girare gli ingranaggi

Era il titolo di un programma televisivo di Peter Griffin e mi è parso fosse calzante per il contenuto odierno, del quale preciso di non andare estremamente fiero perché è poco di più di uno Striscia la Notizia in salsa radical, ma siccome ho ripreso a tormentare i tasti e appesantire i server svuotandoci dentro i miei pensieri, posso finalmente togliermi questo peso che mi assilla dalle due alle tre volte al giorno.
Uno dice vado all'estero, dove tutto funziona meglio.
Uno dice vado nel Nord Europa, stipendi più alti, qualità della vita migliore, servizi più efficienti.
Sì, no, forse, boh, stigatti.
Tutto è inutile se ci si ritrova sbigottiti dinanzi al totale fallimento di un oggetto che la società occidentale ci impone di usare su base quotidiana.
Voglio dire, è comprensibile che uno torni nella madrepatria e decida di portare nel Nord alcune cibarie che non si trovano, funziona così a tutte le latitudini e sarebbe scorretto stupirsene. Magari anche uno o due prodotti che si possono reperire a prezzi sensibilmente più bassi, perché no. Del resto, se uno ha sempre cercato di camuffare i propri olezzi con uno specifico deodorante e non è in grado di acquistarlo all'estero, pare del tutto legittimo che ne faccia scorte quando ne ha la possibilità. Ma sto divagando, quantunque anche questo esempio sia tratto da una commovente storia vera.
D'accordo riempirsi la valigia di cibarie, questo era l'assunto. E di deodoranti, corollario.
Quello che invece risulta grottesco è che si renda necessario, leggasi bene necessario, n-e-c-e-s-s-a-r-i-o, non dipendente dunque dalla volontà bensì imprescindibile, fare incetta di spazzolini da denti.
Non stiamo parlando di prodotti di alta tecnologia signore e signori della Corte, ci riferiamo anzi proprio ai simpatici spazzolini ogni tanto reclamizzati in tv e che costano una (ridotta) manciata di euri in qualsiasi supermercato, tendenzialmente in prossimità delle casse.
Sono qui per affermare, dopo aver prestato giuramento sulla Costituzione e sul Signore degli Anelli di dire la verità, solo la verità e nient'altro che la verità, che gli spazzolini in Olanda fan cacare. Ebbene sì, ho detto cacare e non cagare, un omaggio a Nanni Moretti. Dall'allievo al Maestro.
Perdono le setole in continuazione, sin dal primo lavaggio.
Anzitutto mi risulta incomprensibile che qualche associazione di consumatori non se ne sia lamentata e non ne abbia fatto un caso di rilevanza nazionale con scioperi e interruzione dei pubblici servizi.
In aggiunta, vorrei capire se questi trovano divertente lavarsi i denti e dover continuamente estrarre dalla bocca questi filini di plastica che si sono staccati e albergano tra molari e palato o sotto la lingua.
Sarà mica che tutto il latte che ho bevuto e che continuo a bere mi ha trasformato in una creatura da dei poderosi denti a sciabola? A quel punto tanto vale farci dei soldi, potrei diventare youtuber e scalare la vetta della fama globale pubblicando contenuti in cui divello innocenti spazzolini con sdegnosa e spietata furia. Ipotesi comunque da non scartare.
Si tenga da ultimo presente, e con questo mi accingo a concludere, signore e signori della corte, che all'apparenza questi strumenti per il lavaggio dei denti e della cavità orale non presentano alcuna difformità con quelli che si potrebbero trovare dappertutto. Passi uno, sarà un caso. Passi due, sarà sfiga. Al terzo si fa una risata perché - mannaggia - capitano tutte a me, con occhiolino alla telecamera e democristo sorriso sornione di chi è in grado di affrontare le asperità della vita con italico buonumore. Il quarto però legittima reazioni violente, danneggiamenti alle proprietà altrui e sinanco lesioni aggravate a danno di minori.
Non basterà a fermarci, andremo avanti fino alla verità.
O quantomeno fino alla prossima gita in Italia, quando riempiremo una valigia di spazzolini.

domenica 7 giugno 2020

Ricominciare

L'errore è stato smettere di scrivere.
Ho sempre sostenuto che lo facessi per me e per nessun altro, cosa peraltro vera per molti anni. Aveva semplicemente effetti benefici, al pari del cucinare. La differenza che passa tra nutrirsi di qualche piatto pronto e cucinare - foss'anche una semplice pasta in bianco - è la stessa che intercorre tra lasciare i propri pensieri sciolti e penzolanti e fissarli su qualsivoglia supporto, che obbliga a rivederne la forma e il contenuto.
Prender cura di se stessi è cruciale e si esteriorizza in tanti piccoli gesti, dalla doccia agli oggetti di uso quotidiano che semplicemente ci piacciono e ci appagano. Smettiamo mai di lavarci? Smettiamo mai di comprare capi di abbigliamento di nostro gusto? E allora perché dovremmo mai smettere di scrivere? O meglio, perché dovrei.
Il declino è iniziato quando quello che doveva essere uno scherzetto e un passatempo, nulla più, ha preso troppo piede e si è trasformato nella quotidianità visto il suo straripante successo. Al pari di un'enoteca che scopre di poter triplicare i guadagni servendo shottini di vodka direttamente dalle procaci tette della barista, ho ceduto alla troppo facile tentazione della notorietà. Effimera gloria. Di lì in poi è stato facile annoiarsi, cambiare completamente, salvo rendersi conto ad anni di distanza che si è perso tanto, forse troppo. Già non faccio foto. Almeno, una volta lasciavo delle parole che potevo consultare affinché riportassero a galla i ricordi che sfuggono alla prima linea di difesa della memoria. Non avrebbe senso mettersi ora a fare una retrospettiva (sperando sia la parola giusta, non ne ho idea), preferisco puntare a un lento recupero.
Visto da qua, da qua sotto, dall'inizio, ricorda quando per la prima volta mi allacciai le scarpe puntando a una maratona. Quel momento non l'ho cristallizzato, mi rendo conto solo mentre scrivo che è esistito, ma per forza a un certo punto devo aver maturato quella decisione e di conseguenza la corsa successiva è stata la prima pietruzza verso una massacrante impresa. Non corro da mesi. Coincidenze? Non credo.
Son tutti capaci a farsi una sgambata o a scrivere un post, ma a parte l'ovvia considerazione per cui dipende anche da come lo fai e da come lo termini, è la lunga distanza a far la selezione. All'orizzonte non compaiono maratone di scrittura né niente di simile, ma sarebbe già qualcosa ritrovare fluidità nello stile e, soprattutto, il piacere nel farlo, il piacere nel gesto. A chi volesse obiettare che è la quintessenza dell'autocompiacimento, una sorta di masturbazione del proprio encefalo, si potrebbe solo rispondere che ha trovato le parole perfette per incorniciare questo impegno.