giovedì 2 giugno 2011

pensierino del giorno-02/06/2011

Tema in classe-23/5/2002

Traccia: scrivi una pagina di diario relativa a una giornata "molto speciale"

[n.d.r.: avevo immaginato una lettera scritta dal mio bisnonno Amarino Gabbrielli a sua moglie Jolanda dal fronte del Piave, dove lui aveva combattuto durante la Grande Guerra. Amarino morirà nel 1925 di tubercolosi, lasciando la giovane moglie con una figlia di appena 3 anni (mia nonna) e un bambino di pochi mesi. Nel brano si notano parecchie incongruenze ed errori storici, considerate che l'ho scritto in seconda media inventandolo di sana pianta. Per questo non ho voluto apportare delle correzioni, benchè minime, in modo da offrire il testo nella sua verginità.]

25 maggio 1918

Cara Jolanda,

ricordi che ti scrivevo dopo la disfatta di Caporetto, patita nell'ottobre dello scorso anno, intingendo la penna nel mio sangue? Bene, ora la penna sarà intinta nel sangue dell'invasore austriaco. La resistenza sul Piave ha scacciato gli Austriaci, i nostri soldati, al comando del generale Diaz, hanno sfondato le linee nemiche che ora stanno battendo in ritirata. Noi li stiamo inseguendo, spingendoci sempre più a est. E' stato un grande giorno ieri; tra pochi anni, quando tutto sarà tornato come prima, i nostri bambini studieranno a scuola le gesta dei ragazzi del '99, come me, che hanno salvato la patria. Me lo sento, la pace è vicina, presto sarà firmato un armistizio! Ancora poche battaglie, poi tutto sarà finito, tornerò a Pisa per sempre. Prima di raccontarti degli avvenimenti di ieri, voglio parlarti di una cosa non bella che mi riguarda direttamente. Temo di aver contratto la tubercolosinon sto bene, neanche l'euforia della vittoria ha migliorato le mie condizioni. Siamo quasi a giugno, ma qui la tubercolosi si prende come il raffreddore a gennaio. E' tempo però che ti parli di cosa è accaduto ieri: il nostro esercito era in ritirata, ma siamo riusciti a riorganizzarci sul fiume Piave. Lì siamo arrivati noi ragazzi del '99, freschi, giovani, inesperti. Temendo il peggio il governo ci ha richiamato alle armi e non siamo rimasti insensibili a quest'appello: migliaia di ragazzi giovani come me ingrossavano le file del nostro esercito. Un esercito allo sbando, umiliato, male equipaggiato, che sembrava stesse per aprire le porte dell'Italia all'Austria. L'Italia torna e riprende il suo suolo, gli stranieri hanno strappato le tende da una terra che non gli era madre. Con la forza della disperazione l'Italia ha resistito a un tremendo assalto austriaco. Sicuri della loro supremazia, i nemici ci hanno attaccato, non credevano di sicuro di trovare una così ben organizzata resistenza. Dopo ore ed ore di combattimento, durante le quali le onde del fiume combattevano come i fanti, la ritirata austriaca ha sollevato un'ondata di grandissima gioia, ti giuro, Jolanda, che non mi ero mai sentito così importante, ho provato un'emozione fortissima, poi, visto che secondo il codice della guerra non si può attaccare un esercito che batte in ritirata, ebbero il via i festeggiamenti! Per tutta la notte ascoltammo musica, ballammo, ci ubriacammo, cantammo a squarciagola, riuscii solo in quegli istanti a dimenticare le mie precarie condizioni di salute. Come ti ho detto, il giorno dopo continuai a stare male. Non tornerò a casa lasciando qua i miei compagni! Un giorno anch'io sarò ricordato come uno dei salvatori della casa! Preferisco dieci volte morire sotto i colpi austriaci che in un letto d'ospedale, sentendo i bollettini di guerra tramite il giornale. Con gli altri soldati abbiamo fatto un giuramento: o saremo compagni sul letto di morte o fratelli su un suolo libero. Gli  Italiani per sempre ricorderanno Caporetto, ottobre 1917, come la più grande disfatta mai subita. Ma da oggi, il termine che gli Austriaci useranno per indicare la loro Caporetto sarà "Piave", 24 maggio 1918, dove la loro spedizione in Italia e il sogno di riappropiarsi del Lombardo-Veneto sono miseramente naufragati grazie ad Armando Diaz e a dei ragazzotti appena maggiorenni. Ieri, durante la nostra battaglia più importante, ho visto la morte, ho ucciso, Jolanda, ho ucciso! Non un uomo, tanti! Credo che comunque ci si senta meno in colpa ad uccidere in guerra per salvare la patria che ad uccidere in una strada di città per motivi politici. Al primo assalto, quando ho imbracciato il fucile, caricato, mirato al petto di un nemico che avanzava assaltando alla baionetta, mi sono sentito sulle spalle la vita di un uomo. Allora ho premuto il grilletto e ho visto il proiettile perforare l'uniforme e conficcarsi nel petto. Il nemico si è un po' scosso, le sue dita hanno lasciato il fucile, si è portato le mani al petto, dalla sua bocca usciva un rivolo di sangue, si è accasciato sulle ginocchia ed è stramazzato al suolo privo di vita. Ormai era inutile piangere sul sangue versato, così altri nemici caddero sotto i miei colpi! Nessuno mi processerà per questi omicidi, ma io non so ancora se ho fatto la cosa giusta. Al catechismo mi dicevano che Dio ha dato la vita e che solo lui può toglierla. Io però non sono Dio. Ma non lo sono neanche gli Austiraci che hanno uccisono i miei commilitoni! Ad ogni modo, quel che è fatto è fatto. Non si può più tornare indietro.

Amarino

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