domenica 4 dicembre 2016

Il mio voto è

...tuttavia, le parole contano. E pesano pure. Hanno pesato in negativo quelle spese dai sostenitori della riforma, o almeno così è stato per me. I giudizi che ho espresso ieri sono sufficienti per votare convintamente no, perché una riforma deve apportare un contributo migliorativo, altrimenti a cosa serve? Quindi l'onere della prova incombe su chi la propone: sono loro a dover dimostrare che corrisponda ad un bisogno, che possa svolgere una sua funzione ed efficacia. Purtroppo, non hanno soddisfatto neanche il più blando standard qualitativo richiesto.
Tapparsi occhi ed orecchie è stato però impossibile durante questo periodo di arzilla campagna elettorale, così ci è toccato assistere al salto mortale con triplo avvitamento carpiato di chi aveva sostenuto la riforma voluta dal governo nel 2006, quella sì in senso autoritario, e che adesso vota no, ci siamo dovuti sorbire le unghie sul vetro di chi cerca di salvare le sedie contro le quali si è scagliato per anni. Ci siamo trovati di fronte al vuoto pneumatico delle idee, al nulla più assoluto, all'inconsistenza fatta retorica e resa pubblica. Dinanzi a questo modo di far politica, quale può essere la risposta? Ruttare più forte? Produrre più meme? Sarebbe bastato il silenzio per non far vincere il sì al referendum: l'italiano è conservatore, ha paura dei grandi cambiamenti. Non lo fa di proposito, ma tendenzialmente si mobilita solo quando qualcuno vuole cambiare e lui improvvisamente si riscopre pasionario, idealista, identitario, attaccato a principi e valori che fino a dieci minuti prima non sapeva esistessero, anche perché sulla guida dei programmi tv non c'erano. Invece no, hanno deciso di strafare, si sono sentiti in dovere di esprimere la loro opinione e di renderla palese, mettendo in crisi chi pensava di poter risolvere il problema schierandosi contro una cosa sola. Come si fa a schierarsi contro le uniche due opzioni possibili?
Se vivessimo in un mondo ideale, dove si vota sempre e solo secondo i propri principi, non si porrebbe neanche il problema. A questo punto della mia vita, peraltro, posso anche dire di aver ogni volta votato secondo coscienza, senza mai cedere al giochino della minaccia, allo spauracchio dell'antagonista che rappresenta il male assoluto. Ci sono cascato davvero una sola volta, per le ultime presidenziali americane, dove però non votavo. Mi sarei schierato con un candidato da me non apprezzato pur di non far vincere l'altro, avrei ceduto alla tentazione di inserire una scorciatoia nel mio ragionamento, benché fossi a conoscenza della sua erroneità. La fallacia ad hominem è sempre in agguato e questa volta mi ha fatto suonare qualche campanello d'allarme. Possibile davvero trovarsi fianco a fianco con persone e ideologie (se così si possono definire) dalle quali ho sempre fatto l'impossibile per prendere le distanze?
C'è qualcosa di strano, di distorto in tutto ciò. In effetti è vero, le parole pesano. Pesano anche i nostri gesti, i nostri atti; per questo, a malincuore, ritengo che sia ingenuo recarsi alle urne nella convinzione che il nostro voto influenzi solamente l'esito della consultazione referendaria e, per l'effetto, l'approvazione o meno della riforma costituzionale ivi proposta. Fa molto di più, conferisce potere e legittimazione politica, è come se, silenziosamente, andassimo a ingrossare le fila di due eserciti contrapposti, l'uno contro l'altro finché non sarà scattata la foto ricordo, poi si scioglieranno le righe. La battaglia però sarà vinta dall'esercito che, a giudicare dalla foto, sembrava più numeroso, e poco importa se chi ne ingrossava i reparti se ne è prontamente allontanato. Ormai sono sulla foto.
Il terreno che calpestano coi loro piedi è quello minuziosamente scelto, quello del discredito altrui, che sostituisce l'offesa all'argomentazione, che invoca l'abbandono del raziocinio in favore di istinti triviali, che suona molto come un invito a farsi la cacca addosso quando scappa, senza aspettare di essere seduti sul cesso. Quanto vorrei esserne lontano anni luce, trovarmi tanto tempo fa in una galassia lontana lontana.
Lo scontro si giocherà con regole che non condivido, ma che una parte ha apparecchiato e che l'altra ha saputo prontamente rivolgere in proprio favore.
Non sono a mio agio, preda di troppe pulsioni contrastanti.
L'unica scelta che non mi concedo è quella di chiamarmi fuori, perché siamo tutti quanti chiamati a dire la nostra. Non tanto per l'importanza del quesito in sé, i cui effetti sono probabilmente sovrastimati, ma per quello che succederà dopo.
Ci tengo, in chiusura a fare una precisazione: non voglio in alcun modo essere accostato a nessuna delle due correnti. Ho fatto del mio meglio per smarcarmene, per arrivare a costruirmi un'idea personale che non dovesse riflettere quella di nessun altro. Non è un caso che sia riuscito a litigare più o meno con tutti, persone con le quali colgo l'occasione per scusarmi, visto che ho sicuramente esagerato con i toni. A questa domenica di voto seguiranno i giorni del trionfo per qualcuno e della sconfitta per qualcun altro, ma non vorrei che l'euforia e la mestizia cancellassero quanto di squallido impresso nelle pagine della nostra storia, e fossimo più consapevoli, a partire da lunedì mattina, prima che il gallo canti tre volte, che l'impegno per un sistema paese migliore passa da noi cittadini. Delegare al governante di turno il miglioramento di quello che ci circonda, pensando di poterlo piazzare lì e poi dimenticarsene fino alle successive elezioni, è quanto di più sbagliato possa accadere.

Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d'obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta 
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni

Malgrado tutto, mentre voi leggete, io sarò già andato nel seggio e, ammantato di tristezza e afflizione, avrò votato sì.

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