lunedì 13 ottobre 2014

pensierino del giorno-13/10/2014

ogni comunità ha bisogno del proprio jefe.
el jefe.
in spagnolo significa il capo.
uso, contrariamente alle mie abitudini, un termine non italiano perchè deve aiuta a rendere meglio la spontanea devozione e sottomissione degli appartenenti alla comunità nei suoi confronti. la parola capo ci evoca imposizione, fastidi, potere. niente di tutto questo. el jefe diventa tale per acclamazione, a furor di popolo viene eletto guida morale e spirituale, financo etica.
el jefe deve dunque spiccare per le sue qualità morali e il campo di battaglia nel quale si misura è la figa.
sul punto, bisogna riconoscerlo, non vi è ancora unanimità di vedute. una prima impostazione, più smaccatamente marxista, individua nel jefe colui che dà del tu alla figa; altra parte della dottrina, di chiara ideologia niciana o come cazzo si scrive, alla perenne ricerca dell'oltreuomo, ritiene invece che el jefe sia colui al quale la figa dà del voi. un ribaltamento di prospettiva quasi kuhniano, se non fosse che le due impostazioni potrebbero incredibilmente convivere: nulla impedisce, infatti, che la figa ossequiosa omaggi col voi el jefe mentre lui dall'alto del suo ruolo possa darle del tu. purtroppo in letteratura non è ancora stata trovata traccia di tale sincresi, per cui bisogna lasciarla nel mondo del condizionale e dei periodi ipotetici, così ben espressi dall'an più ottativo.
per chi non avesse familiarità col greco antico, lasciate perdere. non il pensierino, proprio la vita in generale.
dicevo.
l'ottica niciana scorge pertanto nel jefe una figura quasi mitologica, più vicina all'eroe omerico che al moderno cittadino metropolitano ormai schiavo dei social network e più a suo agio a navigare in internet che sul mar egeo. el jefe, pertanto, è chi non conta neanche i punti perchè ha già vinto il campionato per distacco incolmabile in saecula saeculorum e può allora permettersi il calcio champagne.
a questa visione si contrappone recisamente chi lo individua come un prodotto del sottoproletariato urbano, vicino più al foggia di zeman che al barcellona di guardiola. la sua peculiarità, però, è proprio quella di giocare la competizione ad armi pari e, mosso dal sacro fuoco della rivoluzione, dominare il torneo grazie alla costanza, allo spirito di sacrifizio e all'abnegazione; el jefe assurge a tale non ex ante bensì ex post, quando emerge dalla selva di braccia e spade polverose al centro dell'arena e sferra il colpo letale alla feroce tigre che si è scagliata su di lui, per poi esplodere in un urlo belluino che tremare il mondo fa. el jefe, in questo, rappresenta il riscatto sociale degli emarginati, di chi vuole sradicare la società esistente per fondarne una giusta, equa e meritocratica. rifiuta quasi il titolo di jefe, arrossisce talvolta, perchè si vede uguale ai suoi compagni rifiutando di riconoscere la propria superiorità. è quindi il branco a doverla decretare con silenziosa e ossequiosa deferenza ogniqualvolta lo si vede troneggiare, splendente di fulgida gloria.
el jefe, una volta incoronato, non può perdere lo scettro se non per alto tradimento della figa. ma, essendo jefe, ciò non può accadere: sarebbe una contraddizione in termini e parmenide non lo permetterebbe mai.
onorate il vostro jefe, ovunque si trovi.

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