percorse nuda sulla punta dei piedi i pochi metri di pavimento freddo che la separavano dal suo lato del letto. s'infilò rapidamente sotto le coperte, cercando a memoria la sua posizione preferita sul petto di lui, che la aspettava immobile. le passò un braccio intorno alla testa e lasciò che la sua mano gli cingesse il torace, posandosi dolcemente come una foglia accarezzata dal vento d'autunno.
a lei dava sicurezza la ritmicità del suo respiro, ammirava la placidità e la calma con la quale affrontava tutto questo. il battito del cuore scandiva gli attimi e le sembrava che pompasse sangue anche dentro le proprie vene. chissà, forse sarebbe bastato per tutti e due.
non le aveva detto una parola da quando era rientrata tra le lenzuola.
come diamine fa, si domandò lei.
lui teneva lo sguardo fisso in un punto oltre i piedi del letto, all'altezza del mobile dozzinale di finto legno sul quale giacevano ammucchiati alcuni vestiti con delle fotografie, apparentemente in trance se non fosse stato per la mano che lentamente le sfiorava i capelli, quasi avesse paura che la fretta potesse rovinare qualcosa, poi planava docilmente sulla liscia pelle del collo e la accarezzava col dorso della mano ripercorrendo i punti nei quali poco prima aveva affondato le sue labbra.
come faceva a restare impassibile, le labbra serrate e il battito sicuro di chi sta veleggiando sospinto da un leggero vento di poppa, mentre lei nonostante la tranquillità ostentata e camuffata dal silenzio stava affrontando una tempesta aggrappata a un pezzo di legno? temeva quasi che lui potesse accorgersi dell'uragano che le si era scatenato dentro dalla violenza con la quale la stava sconquassando e più di ogni altra cosa temeva le domande al riguardo.
nel silenzio oscuro della stanza le loro dita s'intrecciarono scambiandosi lunghi messaggi. quelle di lei suonavano una litania di scuse per quello che avrebbe detto, quelle di lui opponevano un forte rifiuto.
le dicevano seguimi, non sappiamo che ora sia del giorno o della notte, abbiamo solo il calore dei nostri corpi a farci da guida. viaggiamo senza tempo, fuori dallo spazio, oltre il letto si apre il mondo intero. non importa quanto la burrasca possa volerti inghiottire, resta aggrappata al relitto e passerò io a salvarti dall'ira funesta dei flutti. faremo vela oltre le colonne d'ercole, sospinti dagli alisei costeggeremo l'africa e le foci dei suoi fiumi verdi e limacciosi, quindi doppieremo il capo di buona speranza e da lì seguiremo le vie delle spezie e della seta, sfideremo i monsoni e sfoglieremo tramonti sulle palafitte fino a confonderci tra le popolazioni primitive che abitano negli arcipelaghi australi. vivremo il freddo della terra del fuoco e il sole cocente dei caraibi alla ricerca di un galeone perduto, poi ricominceremo da capo.
senza mai alzarci dal letto.
lei strinse più forte le dita, era finita. ormai la decisione era presa, irrevocabile. eppure il suo battito non cambiava frequenza, la cassa toracica si alzava con la stessa irritante regolarità.
perchè non possiamo diventare pirati, chiese tutt'a un tratto lui squarciando il silenzio ma senza spostare lo sguardo.
voglio dire, proseguì, pirati cavallereschi. punteremmo solo ai vascelli battenti bandiera europea, chiederemmo loro un congruo prezzo per risparmiare le vite umane e ci allontaneremmo con un inchino togliendoci il cappello a tricorno mentre quei parrucconi restano lì impalati a guardare la nostra goletta allontanarsi.
improvvisamente, mentre parlava, capì. allentò la presa delle dita fino ad abbandonarle completamente inermi tra le sue.
le aveva dato la certezza di esserci, giano bifronte dei rapporti che rappresenta tanto l'aspirazione quanto la fine di ogni cosa perchè quando sopraggiunge non c'è più ricerca, tensione, lotta, scontro, tutto si appiattisce nella normalità e nella consuetudine. si diventa scontati. desideriamo solo quel che non abbiamo e lei ce l'aveva, o pensava di averlo. sarebbe finito nella stessa cesta dei vecchi giocattoli dagli occhi neri e inespressivi.
ma per lei era ormai tempo di tirar fuori la burrasca, dopo il momento più bello era giunta l'ora del rintocco meno lieto della campana. gli rispose che sì, l'idea era anche suggestiva, ma a un certo punto lo avrebbe abbandonato nottetempo, dopo essersi presa metà dei dobloni, non uno di più, precisò. forse un giorno le loro rotte si sarebbero incrociate di nuovo e avrebbero sparato un colpo di cannone per salutarsi.
lui non ribattè, mantenne la propria compostezza. fu in quel momento che lei si stizzì, non capendo da dove traesse quest'apatia ascetica. non le sarebbe neppure mancato, pensò quando vide i suoi talloni che uscivano dalla porta per l'ultima volta.
sul momento provò col cuscino a ricreare la forma del suo corpo, ma non andava bene, gli mancava il respiro, voleva sentire la pelle nuda scattare a ogni contrazione del cuore e non quel piatto cotone monocromatico. dopo aver invano provato a prendere sonno si alzò e andò a fare colazione, o pranzo, non avendo la minima idea di che ora fosse.
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