gli americani, che sono un popolo meraviglioso, c'insegnano attraverso i loro prodotti cinematografici che se un uomo si siede al bancone di un bar arriva una dopo un paio di minuti una strafiga che non vede l'ora di farsi possedere. sia ben chiaro, non è che lei voglia farsi affascinare e sedurre a colpi di cenette romantiche e attività culturali per poi concedersi una volta conosciuta bene la persona che ha di fronte. no no, gliela sta proprio sbattendo in faccia e perfino con una certa violenza.
lui sorseggia il suo superalcolico a qualunque ora del giorno e della notte, ha lo sguardo già intensissimo e casualmente al suo fianco vi è almeno uno sgabello libero. lei è impeccabile: uscita dalla parrucchiera da massimo mezz'oretta, dove per forza si è recata già truccata e con indosso l'abito da sera che giustamente porta anche alle tre del pomeriggio perchè metti mai che appena finisci di sistemarti i capelli vien voglia di andare a rimorchiare uno sconosciuto in un bar.
lei arriva con la borsetta di quelle piccole che si tengono in mano, ovviamente non ho idea di come si chiamino e ne vado fiero, ma ci siam capiti. lo guarda, lui ricambia, poi lui fissa il bicchiere come se si stupisse di trovarselo davanti. toh, tu guarda! del whisky! chi l'avrebbe mai detto? inclina il bicchiere, annusa, beve un sorso. lei ormai è conquistata e ancora non si sono detti ciao.
ci arriveremo a breve, ma se per caso una scena simile capitasse a una persona normale starebbe lì a pensare come poter attaccare discorso, invece in america son le tizie che prendono l'iniziativa. piuttosto pratico come sistema, non devi neanche pensare a qualcosa di particolarmente intelligente da dire, anzi, correresti il rischio di respingerle.
dunque lei rompe il ghiaccio e da buona contessa prende una roba che farebbe stramazzare un elefante. la sorseggia con dignità e compostezza, la duchessa del kent quanto prende il the delle cinque con le altre madame non avrebbe saputo far di meglio. lui a quel punto porta avanti la conversazione, ma non troppo convinto, ogni tanto deve ricordarsi di essere tenebroso e impenetrabile così torna a fissare il whisky, dove chiaramente ci sono le risposte a ogni sua profondissima domanda esistenziale.
lei prosegue, ammaliata da come lui non la caghi di pezza e dopo un'altro drink leggero a base di morte e alcool puro gli propone di andare da lei a vedere la sua collezione di granelli di sabbia.
troppo facile, pensa lui, mentre con aria da viveur prende la giacca e la segue pigramente verso un amplesso che durerà pochi minuti, ma sufficienti a farla sentire davvero donna per la prima volta nella sua vita. lui invece non ha bisogno dell'orgasmo, è un duro, poi si sporca tutto, bleah.
proviamo a ipotizzare cosa succederebbe se a far così fosse l'ingegner pautasso gino, geometra del comune che nella vita progetta dove fare le strisce blu. pensate che entusiasmo d'uomo.
gino va nel bar solo dopo le sette, perchè prima è chiuso. si siede al bancone e chiede subito un bourbon ai baristi.
i baristi chiedono a lui se ha bisogno di aiuto.
no, solo un bourbon, risponde convinto, ma ormai è già imbarazzatissimo e spera di non dover mai più incrociare quelle persone. sguardo basso, testa incassata tra le spalle, alone della vergogna che s'allarga dall'ascella cercando di raggiungere la cintura, mentre qualche macchiolina fa la sua comparsa sulla schiena.
per mezz'ora è l'unico piciu fermo lì al bancone. lo salva dalla solitudine un venditore di rose che riesce a fregarlo scucendogli ben cinque euro; nel frattempo ne ha spesi altri venti perchè è arrivato al terzo drink ed è ubriaco fradicio, dato che li ha tracannati a stomaco vuoto.
quando ormai è a un passo da una crisi di pianto totale, ecco che inaspettatamente una presenza femminile prende posto proprio accanto a lui. un'epifania mariana lo avrebbe lasciato meno in estasi. lei è alta un metro e ventotto, più larga che lunga, baffo a manubrio e quando parla ha un accento calabrese che butta per terra, specie se accompagnato da quel vaghissimo sentore di cipolla e peperoncino.
ma non importa, lui ne è rapito.
biascicando e sputacchiando tenta una battuta che nelle sue intenzioni dovrebbe essere arguta ma che invece suona come un principio di stalking. lei, senza manco guardarlo, replica che ha preso due consumazioni perchè una è per lei e una per il suo ragazzo.
prima figura di merda a bersaglio.
ma non demorde, si dà un'altra opportunità. ha visto che comunque ci sa fare e non è certo colpa sua se la gente resta bloccata all'interno di questi rapporti privi di qualsivoglia dinamica. si sente perfino ringalluzzito dall'esperienza.
due ore dopo è sul punto di vomitare, si aggrappa con le ultime forze al bancone e ogni tanto si abbiocca pure. ha praticamente fatto fuori lo stipendio di una settimana e l'ultima volta che qualcuno gli ha rivolto la parola erano i venditori di rose che, chiamati dal loro amico, si son messi a canzonarlo.
pensa che tutto sommato non abbia niente da rimproverarsi, ha lottato come una tigre in mezzo ai leoni e l'applauso del pubblico pagante lo sottolineerà. pronto a fare una trionfale uscita di scena, degna di chi ha appena vinto l'oscar alla carriera, viene raggiunto da una soave e melliflua voce, che gli domanda teneramente se si senta bene. un rapido giro d'orizzonte col periscopio gli permette di individuare la fonte sonora: è un viso angelico, leggermente ovale, dall'incarnato sincero e colorito, racchiuso da teneri riccioli che scendono docilmente sulle spalle. si offrono come punto di riferimento due lapislazzuli poggiati dolcemente sopra un letto di efelidi appena accennate.
o almeno così gli appare nonostante l'imminente coma etilico.
il geometra pautasso gino, uscito con cento alla maturità, come amava ricordare agli interlocutori, scende dallo sgabello per avvicinarsi a questa creatura fatata e si dimentica di essere anche lui piuttosto basso, così nel saltino riesce a mettere male un piede, slogarsi una caviglia, cascare goffamente per terra e vomitare sulle scarpe della povera operatrice del centodiciotto.
p.s.: no, non si sposeranno.
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