la metafora del calcetto, nota anche come la prima legge del futsal.
essendo il calcetto uno sport con numero legale di partecipanti pari a dieci, è necessario che chi organizza trovi altri nove elementi. e fin qui nulla di sbalorditivo.
quello che accade nella prassi, ahimè sempre più spesso, è che si abbia difficoltà a reperire validi pedatori. non potendo giocare in sette e non potendo nemmeno trovare solo giuocatori semi-decenti, si è giocoforza costretti ad azzerare i propri filtri e a raschiare il fondo del barile, per cui arriva al campo gente con le scarpe prestate dal vicino, persone che chiedono le regole, altri che non sapevano si pagasse, chi chiede quanto valga ogni canestro, chi porta una racchetta e poi il peggiore, quello col completino originale della squadra tale che sta sulle palle a tutti e per di più è pure scarso.
la partita in questi casi è più simile a uno spettacolo a luci rosse che a una manifestazione sportiva, la cui riproduzione è vietata per legge nella quasi totalità degli stati aderenti all'onu.
quale insegnamento trarre dalla vicenda?
molto semplice: quando il raggiungimento di una quota, di un certo numero, di una percentuale, è inderogabile e in alcun modo evitabile, non essendo il mondo sottoposto a una divisione maniche tra belli e brutti, buoni e cattivi, fenomeni e brocchi, si creeranno in qualche modo delle distorsioni. si farà salire sul proprio carrozzone chiunque pur di raggiungere quel traguardo, con risultati ben immaginabili anche senza grandi sforzi di fantasia.
se volete, ancora più calzante è molto più simile a situazioni di attualità è il corollario alla prima legge del futsal, elaborato da peter van goof: è un'idea del cazzo pretendere che i dieci partecipanti a una partita di calcetto indossino, in misura paritaria, due diverse marche di scarpe.
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