taluni la chiamano l'arte del compromesso, come se si trattasse di nobile virtù.
in piemontese si esprime con la celebre frase: pitost che niente, l'è mej pitost, nella quale sicuramente ho commesso qualche errore di ortografia, e che rappresenta l'anticamera della rinuncia.
spesso il compromesso viene interpretato come la capacità di accontentarsi, connotata da sempre in maniera positiva, e di saper venire meno a parte delle proprie pretese.
questo ha un senso quando si è il soggetto forte, quello che è nella posizione di ridurre parte del proprio guadagno; la prospettiva si ribalta quando è il soggetto debole ad accettare il compromesso, che altro non è se non un'imposizione, mascherata però da gentile e quasi filantropica concessione.
pur di ottenere qualcosa, dunque, si rinuncia all'intero, per quanto possa spettare di diritto o sia l'oggetto di una legittima rivendicazione.
a furia di accettare soluzioni mutilate, si finisce con lo spostare l'asse dell'equilibrio sempre di più verso di sé, riducendo in questo modo il nostro margine di contrattazione e ampliando a dismisura quello altrui. lemme lemme, ogni compromesso ci spinge verso una sconfitta totale, perchè insegna anche ad arrendersi, a smettere di lottare, a non inseguire più il tutto non appena viene elargita una minima parte.
il compromesso è moralmente disdicevole.
Nessun commento:
Posta un commento