Percorse sulla punta dei piedi il pavimento fino alla sua
parte del letto e s’infilò rapidamente sotto le coperte alla ricerca di lui.
Completamente nudo, giaceva immobile sulla schiena, lasciando scoperto il corpo
dalla vita in su. Lei aveva già chiuso gli occhi, a quel punto non le occorreva
più l’ausilio della vista; la sua memoria muscolare l’avrebbe ricondotta nella
sua posizione preferita, con la testa adagiata tra la spalla e il torace di lui,
i corpi quasi a contatto, separati da pochi centimetri. Lui allargò il braccio
per permetterle di sistemarsi, poi la strinse a sé mentre lei con una mano lo
cingeva e ne auscultava il perfetto ritmare del cuore.
Un colpo dietro l’altro, pompava con la controllata regolarità
di un atleta impegnato in una gara di resistenza. Il petto si alzava e si
abbassava e la sua mano ne seguiva il movimento.
Come diavolo fa, si chiese, a restare così tranquillo,
imperterrito, glaciale, come fa a non accorgersi della tempesta che mi si sta
scatenando dentro?
Il contrasto tra la propria inquietudine e il suo respiro
senza affanni la innervosiva. Perché, perché? Eppure al massimo i ruoli
avrebbero dovuto esser capovolti, non doveva andare così. Aveva programmato dal
principio ogni singola mossa, ma non questa, ora le sembrava di lanciarsi in
battaglia senza uno scudo.
Spostò la mano, cercando a tastoni la sua. Le dita si
trovarono e si avvilupparono in una danza tutta loro, cercandosi ed
esplorandosi come se fosse la prima volta. Quando furono stanche di lottare si
lasciarono andare spossate e senza alcuna forza, ma intrecciate in un nodo che
appariva indissolubile. A quel punto riaprì gli occhi e lo vide con la mascella
serrata, lo sguardo fisso in un punto poco oltre il cassettone di legno
dozzinale. In una frazione di secondo però lui percepì che lei aveva iniziato a
fissarlo e spostò la visuale sulle mani. Poi di nuovo oltre il cassettone.
Lei gli baciò il primo punto di pelle che trovò vicino alle
sue labbra, senza sapere cosa fosse, ma facendo uno schiocco forte e un po’
artificioso per attirare la sua attenzione. Tutto quello che ottenne, invece,
fu una carezza sulla guancia con la mano che fino a un secondo prima le
accarezzava dolcemente i capelli. Nemmeno mosse la testa. E lei che pensava
fosse un riflesso involontario girarsi verso una persona che ti dà un bacio, di
qualunque tipo sia. No: fermo, in pace col mondo, imperturbabile. Decise allora
di farsi più vicina, portò il bacino a toccargli l’anca mentre le gambe si
facevano largo tra le sue per incastrarsi le une nelle altre.
Nonostante avesse solo le gambe sotto le coperte lui
irradiava calore per tutta la stanza, un calore dal quale lei non riusciva ad
allontanarsi e racchiusa nelle sue braccia si crogiolava in quella sicurezza
che li isolava dal resto del mondo. Dimenticava perfino dove fossero, certamente
fuori dal tempo, con ogni probabilità anche dallo spazio perché avrebbero
potuto trovarsi ovunque e in nessun luogo e non avrebbe fatto la benché minima
differenza. Sempre più risoluta a cercare la sua attenzione tirò via le coperte
mostrando a entrambi le nudità dei propri corpi, a riposo dopo una battaglia
che non aveva visto perdere nessuno. Questo gesto sortì l’effetto desiderato,
lui girò la testa verso di lei e sorrise, ricambiato, quindi alzò leggermente
la schiena, quel tanto che bastava per sfiorarle con le labbra la punta del
naso. Poi ritornò nella sua posa tombale ricoprendosi fino alla vita; mosse
leggermente le labbra, come se stesse riordinando le idee prima di dire
qualcosa, e in quell’istante il cuore di lei ebbe un sussulto – e se avesse
scoperto il suo segreto?–, ma fu smentita dalle sue parole: «Perché non
possiamo diventare pirati?» e proseguì, sempre fissando quel dannatissimo
cassettone, «voglio dire, pirati cavallereschi. Punteremmo solo ai vascelli
battenti bandiera europea, chiederemmo loro un congruo prezzo per risparmiare
le vite umane e ci allontaneremmo con un inchino togliendoci il cappello a
tricorno mentre quei parrucconi restano lì impalati a guardare la nostra
goletta allontanarsi.»
Mentre pronunciava quelle parole si
rese conto di tutto. Il corpo di lei si era fatto rigido, con i piedi aveva
smesso di cercare i suoi, stava solo aspettando la fine del discorso per intervenire
e tirar fuori la burrasca: «Sarebbe bello e suggestivo. Forse all’inizio
potrebbe pure funzionare. Ma poi ti abbandonerei nottetempo portandomi via la
metà dei dobloni», «non uno di più», ci tenne a precisare.
Lui capì che le aveva dato la certezza di esserci,
giano bifronte dei rapporti che rappresenta tanto l'aspirazione quanto la fine
di ogni cosa perchè quando sopraggiunge non c'è più ricerca, tensione, lotta,
scontro, tutto si appiattisce nella normalità e nella consuetudine. Si diventa
scontati. Desideriamo solo quel che non abbiamo e lei ce l'aveva, o pensava di
averlo. Il suo destino era segnato, sarebbe finito nella stessa cesta dei
vecchi giocattoli dagli occhi neri e inespressivi.
Dopo alcuni interminabili istanti di silenzio lei riprese la
parola: «Sai, forse un giorno le nostre rotte si incroceranno di nuovo e allora
spareremo un colpo di cannone per salutarci», ma non ottenne alcuna risposta,
lui non ribattè, anzi mantenne la propria compostezza. Fu questo che la fece
innervosire, si stizzì proprio della sua mancata reazione e mentre vedeva i
suoi talloni uscire per l’ultima volta dalla porta pensò che non le sarebbe
neppure mancato.
Sul momento provò col cuscino a ricreare la forma del suo
corpo, ma non andava bene, gli mancava il respiro, voleva sentire la pelle nuda
scattare a ogni contrazione del cuore e non quel piatto cotone monocromatico. Dopo
aver invano provato a prendere sonno si alzò e andò a fare colazione, o pranzo,
non avendo la minima idea di che ora fosse.
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