ci sono due cose che mi fanno veramente paura nella vita: gli squali e le religioni.
sui primi non mi soffermerei granchè.
capita, studiando diritto, di scontrarsi con dei casi veramente crudi, che dovrebbero costringere chiunque a fermarsi e pensare un momento. per la libertà religiosa è morta della gente, altri hanno sprecato fiumi di inchiostro...e volevano questo? mi viene da dubitarne. forse sono troppo influenzato da una visione cattolica della vita, dalla quale bene o male è permeata la nostra società, che pone al centro la salvaguardia della nostra esistenza a qualunque costo. pur prendendone le distanze anche nettamente in alcuni casi, a mio modo di vedere non è il caso di giocarci tanto.
per cui, ecco cos'è accaduto nel settembre del '94 nell'entroterra catalano.
un ragazzino, figlio di due testimoni di geova e anch'egli praticante, ha bisogno di una trasfusione di piastrine. la situazione non è ancora disperata, però è chiaro che prima si interviene e meglio è perchè il suo quadro clinico desta parecchie preoccupazioni. ovviamente i genitori non vogliono sentirne, così i medici son costretti a rivolgersi d'urgenza all'autorità giudiziale che autorizza i sanitari a intervenire. a quel punto si scatena quella che per me è la vera tragedia: il bambino è terrorizzato dall'idea e i medici non se la sentono di sedarlo e operare sotto anestesia, dato che al risveglio sarebbe ancora peggio. si rivolgono quindi ai genitori chiedendo di intercedere presso il figlio affinchè acconsenta alla somministrazione delle cure.
niente da fare.
anzi, nonostante i medici gli avessero detto che non erano a conoscenza di cure alternative, prendono il figlio e lo riportano a casa. dopodichè lo rimbalzano tra uno specialista a barcellona che conferma il primo parere e l'ospedale di saragozza, dove ancora ripetono che è l'unica soluzione possibile. infine il tredicenne viene portato in ospedale quando ha una crisi e, non potendo opporre alcuna resistenza, viene eseguita la trasfusione.
negli stati di diritto contemporanei vengono riconosciuti due diritti ai cittadini: innanzitutto quello di professare il proprio culto e in secondo luogo quello di rifiutare le cure mediche. stando a questi dettati costituzionali è chiaro come i testimoni di geova non facciano niente che vada contro la legge.
però ritengo ci sia qualcosa che in certi casi si colloca oltre, ed è la nostra ragione. la legge d'altra parte non è altro che il frutto di essa e deve per forza essere un compromesso, quindi lascia lacune, zone d'ombra.
il mio problema è quando si coniugano questi due diritti, quando si rifiuta una cura in nome di cosa? capisco la necessità di credere a un essere superiore, una creatura prima, ma se ci ha fatti per vivere sarà pur il caso di sfruttare questo dono o no? e non basta che queste regole condizionino la nostra esistenza, dobbiamo pure imporle agli altri, in questo caso un ragazzino di tredici anni che ha scelto di morire piuttosto che ricevere una trasfusione.
già, perchè poi è morto.
se lo si vuole affrontare in modo non superficiale è un discorso maledettamente complicato, in quanto non è per nulla scontato che la ragione mia sia uguale a quella di chi mi siede accanto in metropolitana. però criste, ha davvero un senso morire per questo? è un morire degno?
sono donatore di sangue perchè credo nella solidarietà umana e lo sono da quando ho compiuto diciotto anni. al novantunesimo giorno dalla precedente donazione mi presento puntuale all'avis e lascio quasi mezzo litro di sangue. penso sempre al bisogno che la gente può averne e appare inconcepibile l'idea che si possa rifiutare in nome della bibbia. ma allora non è un dio, è un torturatore, è crudele.
e che senso avrebbe permettere la chemioterapia e non una semplice appendicite?
si affastellano troppi spunti per poter lucidamente risolvere la faccenda.
l'unica cosa che so è che per me due genitori così sarebbero da rinchiudere buttando via la chiave.
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