è quel sentimento che in molti hanno provato a denominare. illustri letterati, semplici passanti, compilatori di vocabolari si sono resi conto dell'esistenza di qualcosa che prende forma dentro di noi ed esce lasciandoci senza fiato, proprio mentre stiamo per dire il suo nome.
ineffabile, sfuggente, eppure così chiaro, vivido, sotto gli occhi della nostra mente, al punto da infastidire chi cerca un modo per delimitarlo con la stessa pervicacia con la quale i cavalieri della tavola rotonda inseguivano il sacro graal.
c'è chi vi ha scorto l'esistenza di un essere supremo, chi vi ha basato la propria filosofia, chi vi ha scritto libri.
nessuno di questi, tuttavia, ha trovato una parola che lo soddisfacesse; per sua stessa natura, quello di cui stiamo parlando è privo di nome, vocabolo, sostantivo.
è il sentimento di infinito e si sprigiona nella voglia di sentirsi totali, di chiudere gli occhi e provare semplicemente l'ebrezza di qualcosa di nuovo.
la sua ricerca è in fondo la ricerca della vita stessa, non delimitata all'esistenza terrena bensì intesa come afflato vitale che sostiene ogni creatura e porta allo sconforto più ci si sente lontani da esso.
il dilemma a questo punto consiste nel capire se questo possa rappresentare uno stato, una situazione, qualcosa di stabile, come una sorta di nirvana, oppure se si palesi solo in alcuni momenti affinchè meglio lo si possa apprezzare. più probabile che sia un evento sporadico e per questo così agognato, che senza qualcosa che gli facesse da contraltare rischierebbe di sfibrarsi e appassire scolorendo.
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