invece a volte il tuffo da dieci metri non riesce.
se non è ancora scattata del tutto quella leva della follia che aiuta a non sentire la paura, a fidarsi ciecamente del proprio corpo e del mare che è la sotto, ogni tuffo rappresenta un'incognita, è come lanciarsi tante prime volte.
tanti primi respiri, tante prime rincorse, tante prime sensazioni di vuoto e aria che secca la bocca aperta per gridare.
succede allora che si abbiano impressioni negative, che si percepisca nell'aria il vago sentore che qualcosa possa andare storto. ciononostante si tenta lo stesso perchè in fondo è già stato fatto, quindi è possibile anzi realizzabile e sarà realizzato.
poi a metà della rincorsa il filo invisibile che fino a pochi istanti prima faceva solo il solletico ai fianchi e lungo le braccia si tende improvvisamente, lasciandoci come nella scena di un film a mulinare le braccia sul vuoto, coi piedi che fanno forza contro terra e il busto già proteso in avanti. poco oltre c'è spazio per una gloria ingloriosa, si dimostrerebbe di avere fegato a un prezzo carissimo, rischiando danni abbastanza seri, dall'altra c'è invece l'onta da portare addosso davanti a chi ha assistito alla scena e soprattutto davanti a noi stessi, che purtroppo non manchiamo mai di osservarci.
il mondo è ancora lì, siamo fermi, stabili, interi e integri. sani e salvi.
l'acqua invece giace limpida e cristallina, invitante, bellissima, inebriante come il canto delle sirene e altrettanto letale. però, ormai fuori dalla nostra portata, separata da dieci metri eterni che nessun coraggio ci porterà mai a percorrere, ma che ogni tanto faranno capolino nella nostra mente pensando a quanto rapidamente si sarebbero potuti fare e a quanto sarebbe stato appagante riemergere dal mare.
purtroppo, tornando a riva, ci rendiamo conto di essere asciutti.
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