consenso.
secondo la treccani, tra i vari significati che questo lemma può assumere, v'è anche il "favore espresso da gruppi e strati sociali alla politica di chi è al potere", d'importanza tale per cui si parla addirittura di organizzazione del consenso, intesa come "azione svolta di istituzioni e persone influenti per assicurare il favore di larghi strati di opinione a chi esercita il potere".
il potere, senza consenso, non esiste; ne costituisce il fondamento primo e imprescindibile, è da esso che deriva la propria legittimazione.
a ben vedere, tuttavia, il consenso non dev'essere inteso unitariamente, anzi, si articola in due livelli: uno generale e uno particolare.
il consenso generale è quello ricercato in maniera più o meno costante da tutte le forze politiche, è una sorta di consenso di sicurezza, poiché fintanto che ci sarà, è scongiurato il rischio di rivoluzioni e colpi di stato che andrebbero a punire l'establishment. alimentare questo livello minimo, di salvaguardia, è esiziale non solo per chi sia al potere, bensì per chiunque attorno a esso graviti o in qualche misura vi ambisca (a meno che non voglia cambiare le regole del gioco, ça va sans dire). rispondendo ai nostri più impellenti bisogni, si traduce in una semplice parola: soldi. i soldi, a loro volta, si articolano in differenti sottocategorie, ma la principale è quella del lavoro.
dare lavoro è il modo migliore per ottenere consenso generalizzato e diffuso. è il panem del panem et circenses.
per questo motivo, ogni volta che una fabbrica chiude o un'impresa decide di delocalizzare (neologismo fino a poco fa espresso dalla locuzione "sfruttare altrove"), i politici sono in allarme: cala il consenso. proprio in questo snodo si rinviene il passaggio tra il livello generale e quello particolare, poiché non ogni politico ha il medesimo bacino elettorale; una società di consulenza che chiude le proprie sedi operative in italia difficilmente chiamerà alle armi lo stesso politico che si mobilita per la chiusura dello stabilimento industriale di periferia. il problema, per il politico, è che chi resta senza lavoro pretende risposte inizialmente da chi ha votato, e solo in subordine si rivolgerà ai rappresentanti di altri orientamenti. è facile, a questo punto, immaginare la felicità di chi riesce a salvare l'occupazione in una determinata zona, perché in un colpo solo riesce a soddisfare due proprie necessità, risultato senza il quale si sarebbe trovato sulla graticola.
purtroppo, il lavoro è stato merce di scambio e utilizzato, appunto, per creare consenso generale; chi riusciva a elargirlo, come premio, poteva persino fregiarsi di consenso particolare e personalizzato, ma l'importante era il mantenimento dell'entropia.
non avevano alcuna importanza i piani strategici, i programmi a lungo termine, le visioni d'insieme, contava solo e soltanto soddisfare l'impellente bisogno, esattamente come quando mangiamo qualcosa a caso: prima di tutto placare la fame, se poi questa ritornerà nel giro di poco, beh, ci si ripenserà.
Nessun commento:
Posta un commento