c'è chi ha l'abitudine di andar per cimiteri, come se fosse un atto dovuto. saltuariamente pigliano, partono e si vanno il giro delle tombe dei parenti defunti; sinceramente, è una tradizione che non sono mai riuscito a comprendere fino in fondo.
posto che l'elaborazione del lutto è personale e in quanto tale sottratta al giudizio altrui, mi pare alquanto forzata. l'esigenza impellente di recarsi al cimitero, quasi fosse un obbligo divino al quale è vietato sottrarsi pena la scomunica, odora poco di spontaneità.
sarà che vado davvero poco al cimitero, ma non credo che sia necessaria la presenza fisica in un dato luogo per assolvere a compiti di natura spirituale. è palese che chi è partito per il suo viaggio non tornerà indietro, per cui a chi è rimasto non resta che coltivarne il ricordo, individualmente o insieme ad altre persone, ma senza che vi sia una sorta di intermediario, come accade magari per la messa, cosa che rende in qualche modo necessaria la presenza in chiesa di tanto in tanto (è palese come non sia d'accordo con tutto questo, ma non ho voglia di divagare troppo). dunque, se il lutto è qualcosa che appartiene alla sfera intima e soggettiva di ognuno, sfugge alla costrizione di un luogo. si vive in ogni momento, nell'imprevedibilità del quotidiano e nelle associazioni di idee che ci capita di fare.
e non per questo lo si vive con minor intensità.
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